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Ha scritto Jung: «Ogni parola ha la sua storia. Ogni parola risale a qualcosa che è stato ripetuto milioni di volte in precedenza, e perciò acquisisce un carattere archetipico». È un ottimo punto di partenza per la lettura di questo libro di Paul Kugler, perché esso tratta proprio del carattere e del livello archetipico delle parole, della parola.
La novità è che ne tratta non soltanto a livello del “significato”, vale a dire del concetto o dei concetti espressi dalle parole, bensì anche a livello del “significante”, ovvero della loro sostanza fonetica e sonora. Come infatti osserva Samuels, «le associazioni fonetiche potrebbero persine essere interpretate come “più profonde” rispetto alle connessioni di significato, perché aumentano di numero con l’aumentare del livello d’inconsceità».
Partendo dallo “stadio dello specchio”, com’è studiato da Jacques Lacan, il libro procede attraverso la grande rivoluzione scientifica che ha portato le varie scienze moderne, dalla fisica alla psicologia, dalla linguistica all’antropologia, al “primato della struttura”: a spostare il proprio centro d’interesse dagli oggetti in sé alle strutture, ai nessi tra gli oggetti stessi. In questa trattazione si rivelano la sensibilità e l’esperienza cliniche dell’autore, soprattutto quando parla dei disturbi linguistici e in particolare dei due tipi di afasia, facendo ricorso anche agli studi di Roman Jakobson.
A dare maggior nerbo alla tesi dell’autore, secondo la quale anche i suoni delle parole rivelano dei nessi archetipici e l’appartenenza a un nucleo archetipico, la dimostrazione viene portata avanti prendendo in esame varie lingue oltre all’inglese: il latino, il greco, il tedesco, il francese e l’ungherese, una lingua che amplia l’orizzonte dell’indagine in quanto non appartenente al ceppo indo-europeo.