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Mondo classico e mondo biblico sono le due fonti di immagini e storie a cui l’uomo occidentale ha attinto nei secoli, cercandovi, come in uno specchio, il riflesso della propria anima, le sue angosce, la violenza che l’attraversa, l’entusiasmo, le speranze, i tradimenti, il dolore che la spezza, gli aneliti, il suo bisogno di trascendenza. Su questa ricerca si sono però imposti nel tempo i pregiudizi culturali, con la precomprensione che determinano, le stanche ripetizioni di interpretazioni un tempo sorgive, le esercitazioni esegetiche degli accademici, tutto quanto avesse il potere piuttosto di appannare quello specchio, che di renderlo terso. I miti classici sono diventati reperti polverosi, privi di senso e di necessità, le pagine bibliche hanno preso un insopportabile odore di sacrestia. E tuttavia, non possono essere abbandonati senza che noi perdiamo le nostre radici, e cadiamo nella hybris dell’uomo moderno, che si crede l’autore di se stesso. Allora si torna a quelle immagini, a quei racconti, a quelle pregnanti metafore, ricorrendo a nuovi paradigmi interpretativi, attraverso i quali realizzare un incontro davvero vivificante. È quanto ha tentato Paolo Arzani, il cui commento aderente all’immagine, attento a ogni particolare di alcune parabole evangeliche, indica, insieme a sentieri più volte percorsi, altri meno frequentati, che aprono su inattesi orizzonti.