- Collane
- Amore e Psiche
- Il Tridente Saggi
- Il Tridente Campus
- Narrazioni della conoscenza
- Pensiero e pratiche di trasformazione
- I volti di Hermes
- Il castello di Atlante
- Echi dal labirinto
- Scrivere le vite
- Fabula
- Ritratti d'artista
- Le forme dell'immaginario
- Architettura e trasformazione del costruito
- Quaderni di ergonomia
- Biblioteca del Cefalopodo
- IMM'
- Altre proposte
- Altro
- In Vetrina
- Prossimamente
- Indici Analitici
- Riviste
- Ufficio stampa
C’è un fatto che sconvolge all’origine di questo nuovo libro, struggente e austero, di Alessandro Catà. Un libro che si muove in una sorta di presente assoluto, petroso, dominato dal sentimento del vuoto e della solitudine, ma anche mosso dall’urgenza di aprirsi al racconto di una vita, di tessere un colloquio con le ombre che l’hanno popolata. «Sei dentro la visione piena, adesso», leggiamo nella poesia-prologo della raccolta. E ci inoltriamo in un tempo nuovo, che assume i contorni di un possente rivolgimento cosmico.
Catà non rinuncia alla dizione affilata e al rigore verticale della parola, che è stato sempre il sigillo della sua poesia. I suoi versi continuano a esplorare «il destino della materia», ad affondare nel «respiro / delle cose». Le immagini hanno conservato la fermezza di chi è abituato a indagare le leggi della natura. Il vocabolario resta quello di un matematico e di un fisico, o forse di un geografo, che scruta la «corrente / del molteplice». Ma quella corrente è anche quella di Ade, e rinnova l’immagine di una «antica sponda / di dolore». «Qui dove siamo» coincide con «la fine della vita», appena prima che si aprano le porte del bene e del male. Ed è inevitabile che la lingua assorba tonalità nuove, impensate nelle raccolte precedenti: sul «poliedro austero» di un tempo, si raggruma la sostanza impura dell’esistere.
«È orribile, adesso. È tardi in ogni / punto della materia», è il grido che si leva, improvviso, dalla pagina, e che si apparenta al patetico lamento dell’albero nella Ballata dell’albero storto. E nei lacerti diaristici dell’ultima sezione, irrompe la materia dispersa del vivere, con le sue date, i suoi luoghi, che prendono la consistenza di un limbo, di un colore che «riemerge / o scompare / nella tenebrescenza / di una pietra ornamentale». Un libro severo, potente, profondamente ispirato, che non ritrae lo sguardo dalla legge di dolore che governa il mondo, e che pure ha la forza – e il coraggio – di chiudere con tre versi carichi di luce e d’amore.
Giancarlo Pontiggia