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Lacrimae rerum è un’espressione di Virgilio che allude al pianto per ogni cosa transeunte, giacché tutto quanto attiene alla mortalità ferisce l’animo umano. Ed è giusto la consapevolezza della nostra finitudine, dell’esser noi sempre esposti alla perdita – specie quella definitiva della vita biologica – a costituire per molti un motivo di forte disagio esistenziale o smarrimento.
Tuttavia gli antichi filosofi greci consideravano somma arte del vivere giusto quella del saper morire; una sapienza cruciale che trova il suo fondamento nell’accoglienza delle cose più drammatiche e dolorose: non per esorcizzarle a buon mercato, ma per saperle accettare e superare.
I Vangeli ci dicono che l’essere umano deve rinascere spiritualmente morendo a se stesso, nell’auspicio di poter divenire ex-sistente, cioè di situarsi – tramite un giusto distacco – fuori dal mondo pur rimanendo in esso.
Occorre dunque evadere dalla prigione egocentrica per aprirsi agli altri tramite un amore (agape) che non è possessività né altruismo ma forza espansiva/oblativa che si effonde senza limiti.