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Ci troviamo ad affrontare, in maniera originale, le peripezie della trasformazione del pensiero individuando una prospettiva che evita di rispondere alla domanda filosofica in termini puramente filosofici. Il libro interroga invece l’eccesso che la abita e il desiderio che la muove. Musica, filosofia e psicoanalisi descrivono qui un campo di forze in cui si incrociano alleanze instabili, tensioni empatiche, ineffabili condanne, ma anche ricerche molto promettenti nell’ambito della trasformazione della cultura di genealogia maschile. Attraverso il confronto costante con Adorno, l’autore intende mostrare come il coraggio di pensare possa trasformarsi nel coraggio di chiedere l’impossibile.
Questo libro si occupa del tema e della possibilità della trasformazione, a partire dalla constatazione che la trasformazione si è definita come una pratica di pensiero, connessa al buon uso della ragione ma anche, e forse più, al coraggio e alla determinazione nel servirsene. Se pensare consiste nel sottrarsi alle forze oscurantiste e alle pigrizie individuali, sostengono i filosofi, è perché il coraggio dovrebbe far parte del pensiero stesso.
All’idea di esseri umani consapevoli del proprio desiderio e responsabili delle proprie scelte, la psicoanalisi ha opposto l’opacità dell’inconscio, luogo di un sapere non consapevole che ci sottomette alla legge di una dolorosa divisione interna. Per questo, dal punto di vista psicoanalitico, la trasformazione non dipende dal coraggio e dalla volontà, ma deve piuttosto vedersela con l’ostacolo costituito dalle pulsioni.
Il libro si muove tra musica, filosofia e psicoanalisi scegliendo come filo conduttore la riflessione di Theodor W. Adorno, cercando di chiarire per quali vie e con quali effetti si mostrano gli affanni che disegnano l’immagine della contemporaneità. L’autore è alla ricerca di una razionalità flessibile, che sappia riconoscere l’inconscio come una forma di pensiero, nel tentativo di far emergere l’eccesso implicito, e solitamente occultato, di ogni dinamica conoscitiva.