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Il cinema è un’arte fatta di immagini simboliche fusione di mythos e logos, immagini organizzate in racconto secondo quei processi di “condensazione” e di “spostamento” che sono gli stessi che si attivano nella fase onirica. Definito con la nota espressione “sogno a occhi aperti”, il cinema ha, dunque, molto in comune con l’attività onirica soprattutto perché il suo linguaggio è identico a quello del sogno dal momento che nel racconto impiega lo stesso trattamento del tempo e dello spazio che si attiva nel sogno. Il cinema ci fa scoprire aspetti di noi stessi che ignoravamo, ci fa confrontare con la nostra Ombra e reintegra il nostro Io nell’Altro e nel mondo. Una volta riconosciuta questa verità, allora oggi il rapporto tra il cinema e la psicoanalisi va riferito non più soltanto all’analisi delle nevrosi da compiere con l’occhio rivolto al pensiero razionale di Freud, come è stato fatto perlopiù finora. Considerato che il cinema sta recuperando quella dimensione “fantasmatica” che possedeva all’origine, occorre estendere la relazione anche all’analisi della più ampia rappresentazione sullo schermo del nostro Sé, analisi da condurre alla luce degli aspetti visionari della psiche messi in evidenza da Jung, aspetti che sono molto più congeniali alle visioni animistiche e mitiche del linguaggio cinematografico.