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Scrivere poesie in carcere. Questa frase ha la stessa forza di suggestione e la stessa potenza straniante dei titoli di due libri importanti sia per la loro qualità letteraria che per il successo di pubblico ottenuto. Mi riferisco a Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi, del 2003, e a Leggere Shakespeare a Kabul di Omar Qais Akbar e Landrigan Stephen, del 2013. La suggestione e lo straniamento nascono dal contrasto così acuto da risultare straziante tra il luogo e l’atto. Ovvero tra il luogo del mondo dove sembra che la poesia venga massimamente bandita e mortificata e l’attività del poetare che pure, tenacemente, si realizza anche laddove dominano privazione della libertà e segregazione dei corpi e delle anime. […]
C’è questo e molto di più nelle pagine che seguono: dal «tentativo di stare con il bambino» che si è stati (Matteo Gorelli), agli «scorci di vita che passano davanti» (Leonardo Belardi), dalla «rinascita» (Nazareno Caporali) allo spazio «tra il cielo e l’inferno» (Lorena Loys Braga). C’è, soprattutto, quel «desiderio di giorni futuri» che «spazzano solitudine e noia», che Victorero Teran Winston Geovany chiama «speranza.» In altre parole, il titolo di ciascuna di queste poesie e il titolo di questo libro è: speranza.
Poesie di: Paolo Agrati, Teresa Barboni, Juan Carlos Bastidas, Leonardo Belardi, Elisa Belardo, LorenaLoys Braga, Francesco Capizzi, Nazareno Caporali, Giacomo De Santis, Victorero Teran Winston Geovany, Matteo Gorelli, Domenico Iamundo, Paolo Liotto, Iman Mahmoud, Jessica Marsiglia, Gelsomina Martello, Davide Pezzolla, Monica Rijli, Vincenzo Romano, Carmelo Zavettieri, Costantin Zarzu.