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La poesia di Catà, verticale affilatissima, è la parola di un poeta che è anche un uomo di scienza: di qui la precisione del dettato, la serrata progressione logica del discorso, che si fondono con una visione vasta e profonda del cosmo, con la dimensione dell’oscuro e della malinconia. Così, pagina dopo pagina, si entra in un universo poetico in cui i motivi tradizionali della memoria, della morte, dell’infanzia assumono la forza di un responso, sembrano giungere da epoche remote: «Ti parlo dal carbonio,/ da uno scempio di me», come leggiamo in una delle prime poesie del libro. La lingua poetica di Catà è dunque una lingua di ferro e di neve: a volta dura, metallica; a volte immersa nel «vaso d’eternità» del cosmo. Una poesia essenziale, gremita di cose e di pensieri, impastata di acqua e di cielo, che sa alternare il vocabolario dell’anima che si cela a quello della musica del mondo.