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È possibile delineare un modo della cura che sia all’altezza dei mondi della follia, che per sua natura scardina tutto ciò che è positivo, lineare, logico?
Gli autori di queste pagine propongono di guardare alle contraddizioni della follia come a figure essenziali dell’umano e di misurarsi nel rapporto terapeutico con chi sfida i confini predefiniti del senso facendosi guidare dalla dialettica. Vengono qui declinati nell’orizzonte della psichiatria i temi della ricerca filosofica di Italo Valent sulla “ontologia del remoto, dell’avverso-diverso, dell’improbabile, dell’anonimo, del folle, di tutto ciò che si ritiene minore nella sua capacità di realtà”. Si tratta di argomenti sui significati della follia e della relazione di cura elaborati in varie occasioni: conferenze, lezioni, seminari, conversazioni private. Per la consapevolezza della cospicua sfumatura didattica che le caratterizza e per il gusto di segnare tracce nel fitto del bosco piuttosto che di tagliarlo con una strada, amano presentarsi con il titolo di Esercitazioni sulla follia. L’approccio dialettico-relazionale in psichiatria.
Si può ritrovare un filo rosso goethiano che segnala una certa appartenenza tra l’azione rivoluzionaria di Franco Basaglia e il pensiero dialettico di Italo Valent. Un primo indizio della affinità elettiva che lega l’etica del filosofo alla concreta utopia basagliana si riconosce in queste sue parole: «Piena realizzazione di un’etica della follia sarebbe il passaggio dalla liberazione dalla follia alla liberazione della follia: cioè il passaggio dalla cura alla condivisione, dalla restrizione e separazione della follia al suo pieno diritto di cittadinanza».
Se ogni movimento liberatorio della follia si radica nel terreno della necessità della relazione interumana, allora si apre uno scenario dove la relazione è lo sfondo primigenio, è il grembo in cui si costituiscono le singole determinazioni del reale: essere in relazione non significa essere un soggetto a sé che si incontra con un altro soggetto a sé e da lì si genera qualcosa; o meglio, questo modo di affrontarsi si radica in un senso più originario in cui non è possibile una relazione se non per mezzo di una differenza. Quella differenza che, nel rapporto con il folle, può diventare anche conflitto, opposizione che proprio escludendo lega, perché essere opposti è come essere legati da un elastico che ci tiene tesi, lontani ma uniti. Di fronte al folle che si scontra, resiste o si nega, si apre così lo spazio dialettico della cura.
Prendendo corpo in una pratica territoriale audace e responsabile, l’approccio dialettico-relazionale mostra l’unità di ragione-sragione, identità-differenza, soggetto-oggetto, parte-tutto, senso-nonsenso, e insieme indica il modo di accogliere il folle nel segno della possibilità.
Graziano Valent