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Il pensiero di James Hillman è considerato alla luce del confronto con Carl Gustav Jung e in relazione alla tradizione classica di ascendenza neoplatonico-rinascimentale che, ricondotta al tempo presente, alimenta l’originalità della sua collocazione nella filosofia e nella psicologia del profondo.
Hillman è portavoce della trasformazione epocale dei confini tra la coscienza e l’inconscio e della modalità dell’uomo di stare al mondo. A una distanza storica da Jung, raccoglie la teoria degli archetipi dell’inconscio collettivo liberandola dagli ultimi baluardi di un ormai logoro monoteismo della coscienza: accoglie l’eredità “pagana” di Jung e ne mette a frutto ermeneutico il lascito, spingendosi oltre il fronte dell’“eresia” nei confronti del cristianesimo, per una rivendicazione della tradizione classica e del discorso mitico come logos della psyche.
La differenziazione tra i due si focalizza nell’analisi dell’idea archetipale di Anima introdotta da Hillman che, di contro all’archetipo del Sé di Jung, riflette, nel vissuto dell’uomo contemporaneo, il passaggio da un cristianesimo comprensivo di ciò che storicamente ha rimosso, a un paganesimo che lo contiene, trasfigurato, al suo interno. Un passaggio riflesso nel rovesciarsi dei rapporti tra particolare/universale, unità/molteplicità determinato dallo sgretolarsi del pensiero metafisico improntato all’idea di identità e unità trascendentale dominante nella cultura occidentale. L’intera vicenda psicoanalitica è compresa dalla scoperta dell’inconscio, come sintomo della crisi della modernità, alla sua rilettura nei termini di mito e immaginale fatta da Hillman nella seconda metà del Novecento. Il recupero del pensiero mitico, per guarire la “malattia” dell’Occidente, si dipana nel percorso della psicoanalisi che, inaugurata con Freud e la scoperta delle inquiete immagini mentali, trova con Hillman l’annuncio della sua possibile fine nel momento in cui le immagini sono restituite all’aisthesis della percezione fenomenica del mondo, grazie alla concezione dell’Anima mundi. La teoria dell’immaginale è analizzata anche rispetto all’affinità elettiva con la vicenda teorica ed esistenziale di Aby Warburg, il cui confronto dischiude all’antica idea di memoria e ribadisce la cifra peculiarmente occidentale dell’avventura hillmaniana.