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Prefazione di Claudio Magris
La spiaggia è un paesaggio particolarissimo: per lunghi secoli è stata considerata luogo insalubre, su cui il mare gettava i suoi rifiuti, e pericoloso, perché dal mare venivano le invasioni e i saccheggi. Solo col Settecento essa diventa uno spazio destinato a un progressivo processo di colonizzazione, tornando lentamente ai fasti di cui aveva già goduto in epoca romana. Una volta riaffermato il valore balsamico dell’aria salmastra e quello terapeutico dei bagni di mare, l’aristocrazia prima e la borghesia poi ripopolarono porzioni sempre più ampie di litorale. La riconquista della spiaggia non ha però solo un valore sociale, perché dal momento in cui se ne impossessa la letteratura acquista anche un profondo valore simbolico. Nella narrativa di alcuni scrittori borghesi, da Thomas Mann a Moravia, la spiaggia diventa allora uno spazio di confine tra due mondi tipologicamente diversi e metaforicamente impegnati in una lotta durissima per la conquista dell’animo umano. Se la realtà urbana è sinonimo di un ordine gerarchizzato garantito da rigide norme morali, quella del mare è immagine dell’anarchia, è il luogo nel quale l’individuo ‘civilizzato’ può spogliarsi di tutti gli obblighi verso la società per perdersi nel flusso indistinto ma potente della vita e abbandonarsi a una dimensione di assoluta libertà che, tuttavia, qualche volta ha come contropartita l’oblio e la morte. È allora sulla sottile linea che divide la terra dal mare che si svolgono i drammi dei protagonisti dei romanzi presi in esame in questo volume. Le loro vicende possono avere esiti diversissimi, portandoli a una reale maturazione interiore, oppure costringendoli a rinunciare a una parte importante di se stessi, o ancora, ed è il caso di Gustav von Aschenbach e di Giorgio Aurispa, trascinandoli nella tragedia.