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«Io non ho mai rifiutato di bere il calice dolce-amaro della filosofia critica, ma l’ho sorbito con cautela, se non altro in refracta dosi (…) In tutti i casi la critica filosofica mi ha aiutato a comprendere il carattere soggettivo di confessione di ogni psicologia, anche della mia». In questo modo Jung individuava, nel 1929, uno dei punti più significativi del suo dissenso da Freud, secondo lui volutamente insensibile al coinvolgimento filosofico del pensiero psicoanalitico. A partire dal riconoscimento della sensibilità junghiana agli sfondi culturali, antropologici ed epistemologici che influenzano la nascita di ogni pensiero psicologico, i saggi raccolti in questo volume inseguono, nella vasta e pluriforme opera junghiana, il pensatore inquieto, critico e aperto all’esperienza, lo psicologo lontano da ogni dogmatismo, il terapeuta consapevole che lo scopo di ogni psicoterapia non consiste nella scoperta o nella conferma di una qualche specifica teoria, ma nel riuscire a pensare psicologicamente, utilizzando la propria esperienza, in tutte le sue molteplici sfaccettature, come fonte e alimento del pensiero.
In questi saggi si è cercato un rapporto con il testo junghiano per individuare quelle linee minimali ma essenziali che consentono di stabilire, nel presente, una continuità con il modo junghiano di concepire lo psichico, tenendo nello stesso tempo in considerazione l’esplicito invito rivolto da Jung alla psicologia ad «adottare un linguaggio (…) che vari con lo spirito del tempo» subendo «reinterpretazioni e metamorfosi infinite». In secondo luogo, si è cercato di valorizzare il fatto che la tradizione junghiana ha più a che fare con la trasmissione di un sistema di valori e di un insieme di atteggiamenti che con ipotesi o modelli formalizzati. In terzo luogo, si è cercato comunque di rintracciare, ed eventualmente di saggiare la vitalità nel panorama culturale e scientifico attuale, proprio di quei modelli che hanno operato alla base delle formulazioni psicologiche di Jung, che sono rimasti intrinseci nel suo pensiero e che risalgono per lo più alla sua formazione antecedente l’incontro con Freud.
Lo Jung inseguito in questi saggi è un pensatore riflessivo, guidato più dalla propria intuizione che da una rigorosa sistematicità, un «maledettissimo dilettante», come si definiva lui stesso; ma è anche un clinico profondamente consapevole che la malattia e la salute, come ogni manifestazione umana, sono inscritte in una complessità esistenziale indistricabile e specialmente non riducibile. In questa psicologia complessa — che è la definizione più appropriata per la ricerca junghiana — il corpo s’intreccia alla psiche, la natura alla cultura, la fisiologia ai valori, la fantasia alla realtà, le immagini ai concetti, le sensazioni corporee alle percezioni del mondo esterno, gli affetti al pensiero, senza che nessuno di questi aspetti possa essere considerato più radicale, più vero o più profondo dell’altro.
Se nella nostra attualità un pensiero criticamente avvertito ha felicemente spazzato via dal nostro bagaglio culturale presuntuose certezze e incredibili ipostasi metapsicologiche, resta a qualificare il lavoro psicoterapeutico una specifica scelta per uno stile di esistenza, fondato sull’impegno etico a non sganciare mai il nostro pensiero da una continua attenzione alle modulazioni che ci offre la vita sensibile, nella consapevolezza che la salute implichi proprio la capacità di avvalersi dei molti livelli e dei molti tipi di linguaggio che caratterizzano il nostro essere nel mondo. La recezione che possiamo proporre oggi dell’eredità junghiana ci consegna una modalità di cura che non ha scorciatoie dottrinali, né farmaci risanatori: se essa non può più essere caratterizzata per una specifica configurazione teorica, lo è senz’altro per una sua essenziale configurazione antropologica che richiede a ogni analista, e a ogni analizzando, di ricercare una congruità tra la propria esperienza di vita e i propri pensieri, tra la propria sensibilità e il proprio linguaggio, tra la propria coscienza etica e le proprie azioni, avvalendosi della capacità di tacere ove non si possa più parlare, ma continuando comunque sempre a mettersi in ascolto.