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Annota Hölderlin: «Siamo in disaccordo con la natura e quello che un tempo era uno appare ormai come opposizione». Non c’è più ritorno in questo nostro avanzare. Non c’è più riconquista dell’intero in questo cammino forzato. Non c’è più rimedio all’angoscia che l’insensato produce nell’esistenza di ogni essere umano. Siamo in trappola. Tutti: chi scrive e chi legge. Siamo frammenti senza senso, in quella che Evelyne Grossman chiama «esperienza dell’estremo», ovvero «un’esperienza, ai limiti della follia, di vita e di morte delle parole, che porta chi scrive e chi legge a vedere continuamente sconvolti i suoi punti di riferimento». Il precipizio che intravediamo in fondo alle parole è lo stesso che si coglie in fondo alle cose. Quel precipizio è una tomba, e la voce che non smette di parlare diventa la vedova della speranza, la superstite di tutte le illusioni. La nostra vita scaturisce dal fluire ininterrotto dell’ombra. La sventura ci assedia: la cogliamo reciprocamente nei nostri sguardi, nei nostri gesti che ci consegnano, pietrificati dal dolore, al naufragio del silenzio. La salvezza è davvero posta su nulla. Su questo precipizio siamo venuti e qui sembra essere il nostro inizio; qui c’è invece la nostra fine. Si domanda Evelyne Grossman: «E allora, come concepire uno spazio di scrittura in grado di garantire un pensiero che includa il rischio della follia?». A tale questione è dedicato il volume L’angoscia del pensare.
Premessa di Dario Giugliano
Postfazione di Flavio Ermini