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«Di solito, quando sono convinto di una forma divento prepotente. Questo aspetto caratteriale mi da carica nei confronti di chi tende a esprimere una visione solo ingegneristica e tecnologica del costruire, visione spesso antitetica alla parte espressiva dell’edificio.
Voi mi chiedete come è stato recepito questo progetto, questo disegno di edificio dalle grandi curve, a forma di esse, questa pergamena che si srotola sul suolo.
Tutto sommato, credo sia stata un’intuizione felice proprio per le soluzioni pratiche che implica. Al di là dei vezzi di carattere estetico, questo guizzo della matita sulla carta che disegna una forma morbida e flessuosa, una forma più accattivante e poetica rispetto agli angoli retti, all’ortogonalità delle facciate, una forma che accompagna invece di limitare… questo meccanismo, queste rotondità che si associano in gioco di calibratura, che disegna la facciata e di conseguenza gli interni e tutti gli elementi della composizione, credo che questo abbia finito col dimostrare che il distacco rispetto alla forma ortogonale è davvero vincente. Perché è riuscita ad associare estetica e funzionalità. Ma questo guizzo nasce anche dalla volontà di non avere una facciata dominante e una di servizio. Attraverso il ricorso alla forma sinusoidale ho voluto evitare di avere un retro, e aumentare invece il gioco della trasparenza, che è uno dei sogni dell’architettura moderna.
A completare la grande esse ho aggiunto il gioco delle gradonature verso le estremità. Anche questo è importante per instaurare un dialogo con il tessuto urbano circostante. In questo modo l’edificio sembra quasi volersi abbassare, farsi meno imponente e prepotente. È questa l’ambizione del progetto: i vetri che dal controsoffitto arrivano fino a terra, la trasparenza totale che cerca di portare l’esterno – la luce, il sole e il paesaggio — verso l’interno. Viceversa, ho voluto portare anche l’interno all’esterno, in modo osmotico, attraverso il verde.
Questo edificio è come una serie di stantuffi che vengono dal sottosuolo e via via si innalzano, come per un meccanismo pneumatico, fino a raggiungere la loro giusta altezza. La voglia di portare il verde dentro l’edificio sta tutta in questa emersione, in questo immaginario pistone che si eleva. Ecco il perché del giardino all’interno, dove la presenza del verde è ancora più evidente, in termini di qualità ma anche di suggestione e della voglia di soddisfare il bisogno di avere la natura accanto a sé».
Giancarlo Marzorati