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La lettura di questo bel saggio di Silvio Burattin immerge il lettore nell’atmosfera intensa e malinconica degli ultimi giorni della Repubblica di Venezia, la cui fine rimane, abbastanza misteriosamente, uno dei temi storiografici meno frequentati dall’indagine critica.
Poche sono, infatti, le ricerche e le monografie di valore dedicate a questo argomento, pur cosi affascinante e significativo; ed un giudizio, pressoché unanime fra gli storici, vuole che la conclusione della vicenda politica e culturale millenaria della Serenissima si sia consumata in un contesto sociale logorato e ignavo, fino al disonore e all’ignominia
All’autore di questo lavoro appare, invece, decisamente incongruente, in sede storiografica, il contrasto fra l’elogio del buon governo tributato per secoli alla Repubblica e la valutazione sbrigativa della sua fine ingloriosa, assunta come esemplare del tipico sfacelo dell’Antico Regime.
Per tali ragioni, egli prova a calarsi nel vivo della riflessione che ha attraversato la coscienza degli intellettuali che hanno vissuto da spettatori diretti, quando non da protagonisti, quei mesi struggenti, onde coglierne le ansie e gli slanci, l’entusiasmo e la rassegnazione.
Negli incontri, nelle discussioni talvolta concitate e soprattutto negli scritti, levigati dallo stile o increspati dalla passione, Burattin cerca di scoprire, o almeno di poter immaginare, le consapevolezze e le speranze che agitavano quegli uomini e quell’ambiente, nel pieno della temperie storica che li stava travolgendo.
Da tale partecipe ricognizione, raccontata più che descritta, emergono i caratteri di una cultura letteraria sviluppatasi tra Neoclassicismo e Romanticismo e rivolta alla comprensione dei processi complessi della storia e all’elaborazione dei valori fondanti della civiltà che, da quel triste tramonto, si sarebbero tuttavia originate nei decenni e per i secoli a venire.
L’autore si è avvalso, per la propria ricerca, degli studi sui rapporti tra Venezia e la Terraferma compiuti a Bergamo in questi ultimi anni, per impulso di Carlo Passerini Tosi e ad opera dei collaboratori dell’Archivio Storico Bergamasco.
Gabrio Vitali