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Il bisogno di una nuova «scienza» e di una nuova «teoria» si inserisce in quello che impropriamente viene definito «vuoto ideologico» e che, in realtà, è il momento felice in cui si potrebbe incominciare ad affrontare i problemi in modo diverso. Momento felice in cui, disarmati come siamo, privi di strumenti che non siano un’esplicita difesa nostra di fronte all’angoscia e alla sofferenza, siamo costretti a rapportarci con questa angoscia e questa sofferenza senza aggettivarle automaticamente negli schemi della «malattia», e senza disporre ancora di un nuovo codice interpretativo che ricreerebbe l’antica distanza fra chi comprende e chi ignora, fra chi soffre e chi assiste. È solo in questo incontro diretto, senza la mediazione della malattia e della sua interpretazione, che può emergere la soggettività di chi soffre di disturbi psichici: soggettività che può affiorare solo in un rapporto che, uscito finalmente dalle categorie aggettivanti della psichiatria positivistica il cui risultato più concreto è stato il manicomio, riesca a non rinchiudere in una ulteriore aggettivazione l’esperienza abnorme, conservandola legata e strettamente connessa alla storia individuale e sociale.
Franco Basaglia