pagine 200 | prezzo 17€ | cm 14,5X21

Questo libro esplora la “cura” (care) ovvero il “prendersi cura” degli altri come una zona di conflitto, di strappi e anche di potere. Il lavoro salariato dei professionisti della cura e dell’assistenza è costituito soprattutto di un lavoro femminile sottovalutato e stigmatizzato per la sua “mancanza di qualificazione” e a volte per il colore della pelle di chi lo svolge. Fa parte di questo ambito anche il lavoro domestico, ancora oggi distribuito molto diversamente tra donne e uomini. È urgente pensare una trasformazione politica del lavoro e della società ponendo il “prendersi cura” al centro di ogni riflessione sul lavoro in generale. L’autrice esamina la posta in gioco psichica del lavoro e delle pratiche che costituiscono la “cura” partendo da una ricerca condotta in una casa di riposo della provincia francese usando anche gli strumenti della filosofia morale. La posizione di Pascale Molinier è originale, sensibile e forte poiché si inserisce nel dibattito contemporaneo internazionale intorno al care proponendo di cambiare radicalmente sguardo sul lavoro, sulla cura e sulla società.

Pascale Molinier è docente di Psicologia Sociale all’Université Paris 13 Nord e direttrice del Laboratorio UTRPP (Unità trasversale di ricerche in psicogenesi e psicopatologia). Ha diretto fino al 2015 l’Institut du genre e dal 2014 è direttrice della collana Cahiers du genre. E’ considerata un’autorità europea degli studi di psicodinamica del lavoro, della psicoterapia istituzionale ed è autrice di numerosi saggi sull’etica e sul lavoro della cura. Questo è il suo primo libro tradotto in Italia.


Dio e il sacro vivono ancora sotto le braci di una disperazione che investe gli abitanti del Villaggio globale? Il Sacro irrompe negli stati di malessere e nella sofferenza che amplifica il male di vivere. Possiamo ancora ascoltare la sua voce!

Esiste ancora un’esperienza di Dio in grado di atterrire, afferrare, unire, un’esperienza che possa guidare la trasformazione individuale o sociale, veicolare nuove conoscenze, mettere in contatto con il cosmo, dare voce all’emotività profonda, cambiare l’assetto intimo della propria esistenza?
È sempre più evidente che in Occidente Dio sia uscito dai luoghi di culto per nascondersi nel buio dell’Inconscio, nelle maschere del folklore, nelle notti dei boschi lontani dai bagliori delle città. Dio sembra visitare la solitudine delle persone, dare voce al nulla, orchestrare i destini nelle stanze di psicoterapia. Attraverso una polisemia di forme richiama ancora dal passato recente, fa capolino nella musica dionisiaca delle tarantate, sembra interrogarci nelle coincidenze, ci beffeggia ogni volta che non abbiamo spiegazioni. In un presente che sembra sempre più dedicato allo sterile estetismo di forme ammiccanti e alla falsa promessa di una vita felice, Dio sembra farci inciampare attraverso le fobie, la depressione, il panico incontrollabile. Quel che resta di Dio si propone di testimoniare, attraverso la clinica psicoanalitica e la ricerca antropologica, l’irruzione illegale del Sacro, che si mostra più vivo nell’esilio, sempre più smarcato dai centri deputati al controllo e alla professione della fede.