pagine 144 | prezzo 12€ | cm 11,5x16,5

Molte cose ci accadono sotto gli occhi senza che neppure ce ne accorgiamo. Ci vediamo benissimo, o almeno crediamo, ma qualcosa manca. Nelle nostre retine c’è sempre un punto cieco. È fisiologico. Scotoma è il termine tecnico che lo designa. Brutta parola, la sua desinenza in oma ricorda qualcosa di abnorme, a partire dai tumori che sono appunto proliferazioni abnormi di cellule. La radice scotos, rimanda al greco oscurità. Lo scotoma è in sostanza un’area del nostro campo visivo oscurata. Lo scotoma scintillante è una variante di questo fenomeno. Per lo più è l’annuncio di un attacco emicranico. Una saetta che si disegna in cielo, l’inizio di un temporale. Con tutto quel che simbolicamente può promettere. Inevitabile la prossimità, non solo linguistica o di pura immagine, con la nozione di Ombra.
Dal punto di vista del linguaggio, lo scotoma scintillante è un ossimoro: un oscuramento per troppa luce.
Può essere l’inizio di una conversione come per Paolo di Tarso sulla via di Damasco, oppure, più umanamente, il segnale inequivocabile, ma ancora oscuro, della necessità di un cambiamento. Provo a partire proprio dalle mie macchie cieche per tentare di vedere qualcosa di più, per tentare una nuova approssimazione nei miei calcoli dell’altezza degli astri sulla linea dell’orizzonte, per fare il punto e darmi nuovo senso e direzione.
Il clima pandemico ha messo in ginocchio le nostre certezze, forse proprio dalle nostre incertezze e cecità è necessario ripartire.
Scotomi scintillanti, bagliori fulminei che attraversano la nostra mente, intuizioni mancate o solo rinviate, ricordi e falsi ricordi capaci di dire molto di più della realtà stessa, anche di quella, di per sé già più veritiera, colta soltanto con la coda dell’occhio.


 
pagine 160 | prezzo 15€ | cm 14,5,x21

Oltre mezzo secolo di continua, coerente e originale ricerca poetica per transitare dalla lirica all’epica, dall’io al noi, «dall’ego all’eco» – per dirla con parole sue –, senza mai perdere di vista l’orizzonte meridiano in cui «scrivivere» storia e destino, portando sulla pagina l’odore linguistico di quell’orizzonte. Questo il senso ovvero la direzione costante della vicenda poetica di Lino Angiuli che in questo libro si presenta con un’autoantologia essenziale ed emblematica del suo lungo percorso, accompagnata da un saggio di Gabrio Vitali e dagli esiti di un dialogo fraterno e a tutto campo con Carlo Alberto Augieri. La prefazione è firmata da Daniele Maria Pegorari che legge e segue Angiuli da decenni e che con lui condivide un’ormai riconoscibile e riconosciuta progettualità culturale di ampio respiro.