pagine 512 | prezzo 36,00€ | cm 14,5,x21

Appena trentenne, Italo Valent saluta il suo ingresso sulla scena filosofica italiana mandando in stampa una monografia dedicata al pensiero di David Hume. L’opera è raccolta nel volume insieme con altri saggi rivolti a insigni filosofi dell’età moderna. Cimentandosi con la ricca produzione humiana (e non solo), Valent restituisce intatto nelle mani dei lettori il dilemma che ha scosso la modernità: l’impossibilità di anelare a qualche certezza quanto all’umano, neppure accettando il dubbio metodologico e procedendo da esso, neppure ricercando le strutture elementari ed empiriche del nostro conoscere. Se la nuova scienza galileiana mostrava una via sperimentale e matematica, di epocale portata per la conoscenza della natura, la scienza dell’uomo restava oscura, contraddittoria, lacerata dalla tentazione di rifugiarsi in una ragione tanto formale quanto sterile, o di prendere per dimostrazioni associazioni di idee dalla incerta tenuta argomentativa.
Al contrario, secondo Valent, in Hume la critica sferzante al razionalismo dogmatico si combina con il tentativo di salvare la ragione, scavandone la connessione profonda con l’esperienza. Ecco profilarsi, in nuce, quel percorso che anni dopo condurrà l’autore ai margini impensati e trascurati della filosofia di Emanuele Severino, il grande maestro con il quale mai verrà meno il confronto. Nel vortice dell’esperire non si trovano solo le differenze dei sensi, della temporalità, delle strutture relazionali dei fenomeni, ma si è toccati dallo scarto dell’alterità, dalla negazione come disconoscimento, esclusione e annientamento. È così che il giovane Valent getta le basi per i suoi lavori maturi, lasciando interagire Hume con Hegel e Severino, e mostrando una “modernità” nient’affatto superata ma ancora tutta da realizzare.
Romano Màdera


 
pagine 272 | prezzo 20,00€ | cm 14,5,x21

Cinquant’anni fa iniziava all’Ospedale Psichiatrico di Arezzo, diretto da Agostino Pirella, una rivoluzione silenziosa ma capace di ridare vita, dignità e speranza a quel luogo di morte, cambiando per sempre la storia della Psichiatria in Italia. L’autore di questo diario, giovane psicoanalista junghiano, nel contatto quotidiano con l’istituzione scopre con fatica che i suoi strumenti teorici non sono adeguati a capire quella realtà. Inizia a confrontarsi con la follia “a mani nude”, accetta di “perdersi” in una situazione dove tutto è rovesciato: insieme con l’Istituzione ognuno deve cambiare, “da Pirella all’ultimo degente”. Da queste pagine emerge con forza documentale l’intreccio tra vissuti, meccanismi istituzionali, diversità culturali e politiche. Paolo Tranchina racconta la gioia di far parte di un progetto collettivo in cui il dialogo con la psicosi si apre ben oltre i codici della psicoterapia, e lo fa attraverso la coralità di storie che ancora ci stupiscono e ci emozionano. È la preziosa testimonianza di una delle imprese più nobili e coraggiose della nostra storia recente.

Paolo Tranchina, (1938-2019), psicologo analista specializzato all’Istituto Jung di Zurigo, ha lavorato a Milano, ad Arezzo, a Firenze e poi presso l’Osservatorio Epidemiologico della Regione Toscana. Fondatore della rivista “Fogli di Informazione” e dell’associazione “Psicoterapia Concreta”, è autore di Norma e antinorma (1978), Il segreto delle pallottole d’argento (1984), Un sagittario venuto male (1998), Inconscio Istituzionale (2006), Afrodite. Storia e Psicologia di un mito (2011).