Tecnica e capitalismo determinano in misura sempre più decisiva ogni ambito della nostra vita. Mezzi che dovrebbero mettere le società umane nelle condizioni di migliorare la qualità della vita, si sono trasformati in fini che hanno nel potenziamento quantitativo lo scopo ultimo della loro esistenza. Rispetto ad essi gli stessi esseri umani sono diventati mezzi che concorrono a questo accrescimento. Giganteschi apparati di fronte a cui ognuno di noi non può sentirsi altro che la rotellina di un ingranaggio, decidono tutto ciò che di fondamentale gli uomini incontrano nella loro vita: dal divertimento alla comunicazione, dal rapporto con la natura alle disuguaglianze sociali, dall’alimentazione alla coscienza di sé, per non parlare della politica. Nessuna immagine migliore, allora, per descrivere questo stato di cose, di quella dell’apprendista stregone, di un soggetto che, nella pretesa di ergersi a signore del cosmo, si lascia sfuggire il controllo di quegli strumenti con cui doveva realizzare il suo incantesimo. In tutto questo gioca un ruolo fondamentale la scienza che, in modo emblematico, racchiude tanto l’aspetto progressivo che quello regressivo dell’illuminismo. Da centocinquant’anni la filosofia, autentica Cassandra, ha impiegato – da Nietzsche a Marx, da Adorno a Heidegger – molte delle sue energie migliori, a svelare il complesso intreccio, l’inestricabile trama, che la contemporaneità come tale costituisce. In questo libro, a questo tema fondamentale, altri inevitabilmente se ne aggiungono – la relazione dell’Occidente con il suo Altro, le difficoltà della sinistra di fronte a un capitalismo che ha vinto su tutta la linea, la relazione tra massa e potere come dimensione fondamentale della politica contemporanea, la tragedia delle guerre mondiali, il dramma costante dell’Italia e la fragilità della democrazia, il trasformarsi del linguaggio filosofico nel passaggio dall’epoca moderna a quella contemporanea – come quegli inevitabili corollari che al tema principale sono connessi. Ma è sempre il problema dell’apprendista stregone a costituire il fulcro tematico con cui i nostri destini sono implicati e da cui sono condizionati: come perdita di centro e spaesamento prodotti dal nichilismo; come alienazione causata dal capitalismo; come carattere regressivo dell’illuminismo; come dominio planetario della tecnica. Problema che in nessun modo è possibile liquidare con la considerazione relativa alla neutralità dello strumento tecnico che si tratterebbe di utilizzare in senso positivo o negativo.


 
pagine 120 | prezzo 14,00€ | cm 14,5x21

Il lavoro dell’Autrice nasce dalla constatazione che il pensiero del folle è un pensiero immaginale. Attraverso un “procedimento per sottrazione” – così lo definisce – vengono asportate via via, come fa uno scultore davanti a blocco di marmo, tutte le componenti inessenziali all’immagine, all’emozione. Alla fine, il linguaggio del folle diviene quindi, paradossalmente, non verbale. Questa osservazione ci fa intendere come le immagini fotografiche che accompagnano le Storielle del testo siano in perfetta sintonia con il linguaggio immaginale della follia: bianco e nero, dissolvenze, evocazione di un oltre più intuito che percepito. Evocazione di significanti che rimandano indefinitamente ad altri significanti, ma anche struggimento per un approdo che, per quanto sia lontano, non è ancora impossibile.

Speranza, dolore, allegria, stupore, malinconia, condanne, assoluzioni, sberleffi, immagini ora grottesche ora angosciose: ci accorgiamo al termine della lettura di queste pagine che alcuni dei più segreti significati delle contraddizioni in cui viviamo, se spesso sfuggono a chi è ufficialmente sano, non di rado emergono come tracce nell’oceano grazie alle illuminazioni di chi è ufficialmente diverso e, al di là del freddo armamentario di separazioni su cui poggia l’edificio della scienza, gli consentono di essere una volta l’interprete, un’altra il critico più acuto, onesto o semplicemente spietato della comune quotidianità.