Il problema della diagnosi è una sorta di ombelico denso della psichiatria ma anche della psicologia, dove confluiscono tutte le discussioni, gli orientamenti, i punti di vista, spesso radicalmente differenti, che lacerano il tessuto teoretico, clinico e pragmatico di queste discipline. Esso è attraversato dalle questioni metodologiche, ontologiche e genericamente linguistiche che riguardano ogni tentativo nosografico. È attraversato dalle questioni etiche e terapeutiche che riguardano la relazione del sapere con una buona prassi clinica. È attraversato dalle questioni culturali che modulano le diverse tipologie e i diversi significati che il processo diagnostico può assumere. È attraversato dagli interrogativi sociali che riguardano le conseguenze nel mondo della vita della prassi diagnostica. È possibile che sia attraversato, infine, dalle pressioni strettamente economiche dovute alle innegabili influenze di attività produttive direttamente innestate sulle categorie diagnostiche.

La suddivisione dei saggi che proponiamo nelle tre sezioni – riflessioni, clinica e cultura – è puramente operativa e non riflette in alcun modo il tentativo di semplificare la complessità dei singoli saggi perchè parlare della diagnosi significa, anche nel caso dei discorsi più specificamente orientati, sfiorare tanti di quegli ambiti e toccare tante di quelle aperture da rendere disperato qualsiasi tentativo di classificazione tematica.

 

I curatori


 
pagine 314 | prezzo 25,00€ | cm 14,5x21

I saggi che costituiscono il presente volume, scritti in onore di Augusto Romano in occasione del suo ottantesimo compleanno, si confrontano con temi che a lui sono particolarmente cari: quello dell’Ombra e quello del Wandereur. Ad essi egli ha dedicato pagine intense, lasciandoci immaginare un che di autobiografico, radice della sua sobria e rigorosa etica, ma anche di una visione appassionata e curiosa dell’esistenza, mai edulcorata da facili illusioni buonistiche sulla prevalenza finale del bene.

Questi personaggi, pervicaci, creativi e sofferenti insieme, procedono sempre oltre, verso una patria che “è l’utopia, ma è anche la morte, il luogo definitivo, che ti prende tra le braccia e più non ti abbandona”. Romano non ha esitazioni a rintracciare, sotto i panni dei suoi viandanti, l’archetipo del Puer aeternus, il portatore di tutte le potenzialità, ancora allo stadio germinativo, colto però da lui non nella sua staticità, bensì in quello snodo cruciale dell’esistenza in cui si trova davanti alle possibilità trasformative.

Per questo, riconoscendo in essi una possibile redenzione, egli ribadisce la necessità che l’analista si occupi con rispetto e dedizione – nella dinamica falsamente oppositiva tra salita allo Spirito e discesa alle Madri – di tutta la gamma di percorsi antieroici, solitari e spesso fallimentari, che i suoi protagonisti, e anche i nostri pazienti, ci chiedono sommessamente di condividere.