pagine 96 | prezzo 12,00€ | cm 12x18,5

Gérard de Nerval (1808 – 1855), è uno dei più attivi poeti e narratori dell’Ottocento: la sua produzione e la sua vita rimangono segnati dal lutto materno maturato in tenera età, che alimenta la sua passione per i misticismi e l’occultismo. Traduce testi dal tedesco al francese, prima di passare alla produzione personale. Intreccia solide relazioni e scambi culturali con gli autori più noti del periodo: Hugo, Madame de Staël, Gautier e Dickens. L’opera è considerata un tentativo di creare una sorta di diario spirituale, in cui fissare la storia della propria follia e chiarine i motivi mistici. Sotto le spoglie di Aurélia Gérard de Nerval cela l’attrice a lungo desiderata Jenny Colon.

 


 
pagine 288 | prezzo 18€ | cm 14,5x21

Il libro propone di seguire l’itinerario di una insegnante che si appassiona al suo lavoro e inventa pratiche politiche per cambiarlo. L’autrice è una comune professoressa di scuola media che pensa e agisce, ma non da sola, impegnando se stessa, gli altri e, prima di tutto, alunni e alunne, a trasformare il mondo in cui vivono. Ne scaturisce un bagaglio di pensiero e di esperienze capaci davvero di cambiare in meglio la scuola. Il percorso parte dagli anni ’80, con la creazione della pedagogia della differenza, per poi dare vita a un libero movimento di donne e uomini: l’autoriforma della scuola, una rete molto attiva nel pubblicare articoli e libri collettivi, con idee nate nell’incontro con studenti e studentesse. Uno di questi libri, Buone notizie dalla scuola, ha camminato fino in Cile, ispirando di recente la tesi di dottorato di un giovane insegnante, Julio H. Fernández, che fin dal titolo parla esplicitamente del “movimento per l’autoriforma italiana della scuola come un’esperienza di trasformazione personale”.

Al racconto del percorso e degli incontri vissuti dall’autrice, segue una scelta di saggi e articoli in cui si trovano idee che nascono nello scambio umano quotidiano, con la consapevolezza che contrapporsi, anche se i motivi non mancano, può risultare sterile o, peggio, controproducente. C’è sempre qualcosa che si può fare, lì dove si vive, invece di arrendersi o di diventare acquiescenti.