pagine 192 | prezzo 17,00€ | cm 14,5x21

La medicina tecnologica sembra divisa tra l’esigenza di rispondere a una metastasi dei bisogni di una società che aspira all’illimitato ed il costante superamento dei limiti di spesa. Questo libro si interroga sulle motivazioni interiori, trascurando deliberatamente le cause tecniche, dell’apparente impossibilità di contenere la spesa nella realizzazione del diritto alla salute. All’interazione tra una bulimia salutistica — posta sul piano inclinato di ogni esercizio tecnico — e le logiche espansionistiche del mercato globale corrisponde un’interpretazione unilaterale del mandato della medicina, la vita. L’autore analizza l’evoluzione della coscienza del medico dagli albori della storia fino ai nostri giorni, avvalendosi del linguaggio dei miti e della propria esperienza negli ospedali. Egli definisce come “complesso di Asclepio” il naturale conflitto di onnipotenza del medico di fronte alla morte, espressione di un’ambivalenza della medicina fin dalle sue origini. Ricco di riferimenti filosofici e psicoanalitici, questo testo denuncia una deriva consumistica della sanità legata allo sfruttamento commerciale della rimozione della morte. La morte rimossa riaffiora sotto forma di ansie e di comportamenti irrazionali all’origine di un enorme spreco strutturale del sistema sanitario nel suo complesso. Nel testo si suggerisce come la riflessione individuale di medici e pazienti possa aprire la strada allo smascheramento del demonismo della tecnica, un primo passo verso la scoperta di quale uomo possa riappropriarsene come mezzo, riscoprendo, come fine, se stesso.


 
pagine 98 | prezzo 14,00€ | cm 14,5x21

Questo libro interroga, con la «nostalgia», il rapporto tra patria, esilio e lingua materna. L’Odissea, che racconta le peripezie di Ulisse e del suo ritorno incessantemente differito, è il poema per eccellenza della nostalgia. Il segno, squisitamente simbolico, che Ulisse è finalmente tornato «a casa», nella sua patria, è il letto radicato, scavato con le sue mani in una pianta d’ulivo intorno a cui ha edificato la sua dimora, un segreto che condivide con la sua sposa. Radicamento e sradicamento: ecco la nostalgia.

La patria, Enea la porta con sé quando fugge da Troia in fiamme con il padre Anchise e gli dèi lari sulle spalle. Va errando di luogo in luogo finché Giunone, il cui odio lo insegue, concede di lasciargli fondare quella che diventerà Roma, ma a una condizione: che dimentichi il greco e parli, dice Virgilio, «con una sola bocca» insieme e come i Latini. L’epopea fondatrice è anche, in questo caso, fondatrice di lingua.

Avere per patria la propria lingua, per unica patria addirittura. Così, nei tempi bui in cui vive, Hannah Arendt, «naturalizzata» nel suo esilio americano, sceglie di definirsi non rispetto a un paese o a un popolo, ma soltanto rispetto a una lingua, la lingua tedesca. È questa lingua che le manca e che vuole udire.

 

Dal testo introduttivo di Barbara Cassin