pagine 224 | prezzo 20,00€ | cm 14,5x21

In libreria il 14 Gennaio 2016

La presenza di Dioniso nel pensiero di Jung si evidenzia fin dai suoi esordi nel confrontarsi con il pensiero di Nietzsche. Questa presenza non è mai venuta meno, ma è sempre rimasta un poco sottotraccia, più implicita, più nascosta. Hillman nella terza parte del Mito dell’analisi, parlando della femminilità psicologica, riprende il tema dionisiaco e lo approfondisce grandemente. Ma in genere nella psicologia analitica questa figura resta abbastanza sullo sfondo, vive una vita più clandestina, forse in virtù della sua peculiare caratteristica di esistere su un confine indefinito tra vita e morte. Kérenyi definisce Dioniso L’archetipo della vita indistruttibile. Il labirinto, luogo mitico dove il Minotauro/Dioniso ‘ si nasconde’, è: << …il luogo dove si coniugano vita e morte, parola e silenzio, dove ‘identici’ sono Ade e Dioniso…>>. Il percorso analitico è un percorso labirintico, inteso come percorso iniziatico, una sorta di discesa agli inferi conoscitiva e trasformativa. Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo recita Virgilio citato da Freud; questo verso ci racconta una verità archetipica: la via verso ‘l’alto’ non è mai diretta, ma passa per il ‘basso’. In termini alchemici gli opposti coincidono; in Dioniso gli opposti coincidono, la sua androginia ne è l’aspetto più evidente e in tal senso sembra acquisire l’aspetto del Lapis alchemico. Dioniso è anche un bambino che gioca e giocando crea il mondo. Il mondo che crea attraverso il gioco è il nostro mondo interno, il mondo della cultura umana; il gioco, come ebbe a dire con geniale intuizione Winnicott, è la radice della cultura. Allora mettersi in gioco e giocare sono due termini che possono declinare il percorso analitico. Mettersi in gioco, abbandonare le maschere e lasciarsi trascinare dallo ‘spirito del profondo’, ed eventualmente giocare, come fece Jung sulle rive del lago di Zurigo, con sassi, sabbia e quello che capitava. Nel libro viene presentata una storia clinica che illustra una fase   di un percorso analitico, che prende forma attraverso il gioco della sabbia.


Narrazioni della conoscenza
Gianluca Cuozzo
Utopie e realtà
 
 
pagine 223 | prezzo 16,00€ | cm 14,5x21

Come conciliare melancolia e utopia con il realismo? Molti stupidi, o ingenui, o magari in malafede, pensano che il realismo escluda l’utopia, e che consista nell’accettazione della realtà. Ma ovviamente (e questo libro ne è una prova esemplare) non è così. Essere realisti significa voler conoscere il mondo così come è, per poterlo cambiare, e renderlo il più vicino possibile alle utopie e ai desideri. Non si vede altro modo per cambiare. Conoscere l’attrito del reale, la difficoltà dei mutamenti, e soprattutto la straordinaria debolezza umana, è la sola maniera per poter trasformare il mondo. Dire, invece, “Yes, we can” è un modo per mettersi l’anima in pace, o meglio per convincere gli altri di qualcosa di cui non siamo convinti noi stessi.

Di qui l’antropologia negativa che costituisce il centro più vero e profondo del libro di Cuozzo. Il peggiore utopista, l’utopista che illude e basta, è quello che proclama che “l’uomo è nato libero, ma è dappertutto in catene”.

Ma proprio partendo di qui l’uomo può migliorarsi, anzitutto rimediando alle proprie insufficienze. L’uomo è l’animale malato. E l’immensa produttività della tecnica, così come l’immensa attrattività degli oggetti che produce, e l’immane quantità di scorie e rifiuti che vengono generati da questo processo, sono il frutto di questa malattia.

Dalla prefazione di Maurizio Ferraris