pagine 160 | prezzo 15,00€ | cm 14,5x21

Mitografa e saggista, Gabriella Cinti cerca di calarsi nello sguardo degli antichi, scavando nelle parole, mettendo a confronto echi e assonanze, sforzandosi di rivivere, nella profondità della coscienza, ciò che filosofi come Nietzsche e Heidegger o studiosi come come Kerényi e Walter Friedrich Otto hanno portato alla luce nei loro scavi archeologici per entro un immaginario quasi del tutto sprofondato nelle lontananze più remote.

Il titolo del primo Inno (perché alla tradizione innodica si riallaccia), Madre del respiro, che dà il titolo anche all’intera raccolta, riproduce per campate anaforiche quella forma di invocazione che veniva elevata collettivamente nel tempio in modo da restare perennemente nella memoria collettiva. “Madre del respiro … Madre del sorriso … Madre delle stelle … Madre degli occhi … Madre del senso … madre dell’azzurro … Madre della scintilla prima … madre dell’essenza”.

Sono parole che l’io poetante può pronunciare a buon diritto nella consapevolezza della propria irrevocabile modernità. Si tratta di una voce che, riallacciandosi, io credo, alla tradizione ermetica, scandisce nelle sillabe allitteranti e/o dissonanti, unicamente – diceva Montale – «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», portando la melodia del verso a una tensione tale da deformarla nell’insensatezza del grido.

 

dall’introduzione di Alberto Folin


 
pagine 200 | prezzo 15,00€ | cm 11,5x16,5

Agosto 1968: le truppe sovietiche invadono Praga. L’autrice, a Cracovia per ragioni di studio, racconta le reazioni della gente, analizzando gli effetti della propaganda comunista. L’esperienza da lei vissuta fu l’occasione per interrogarsi su questioni che sconfinavano dalla contingenza storica. Nacque così un dialogo filosofico sui grandi problemi dell’esistenza. Come può l’essere umano continuare a sperare quando sembra che i fatti cancellino ogni speranza? Che risposta dare alla violenza: combattere, uccidere, morire, o vivere? Ma in quel caso cosa significa “vivere”? Che senso dare al dolore e al male che possono abbattersi su di noi come fulmini? Ricorre in questi interrogativi l’assillante quesito di cosa sia la libertà e dei crimini che si possono commettere nel suo nome. Attraverso il dialogo tra i personaggi del dramma e un dibattito tra analisti junghiani, Elena Caramazza approfondisce le tematiche esistenziali che emergono dalla riflessione di tutti: i personaggi della finzione scenica cosi come le persone reali. Il testo, attraverso un serrato confronto che non esclude divergenze, scandisce le tappe d’un processo di individuazione che porta alla pienezza del Sé e alla scelta della non-violenza.