Le piante si sviluppano con un fiore, la psiche attraverso i suoi simboli.
Questo è natura.
Il processo della morte del grano nella terra e della sua rinascita era collegato all’idea della resurrezione, prima del dio Osiride, e poi di ogni essere umano.
Il chicco di grano ci indica la possibile naturale trasformazione, se diveniamo consapevoli della necessità interna di aderire al processo, che porta a farci mutare e rinnovare.
Nevrosi, isolamento, manipolazione e malafede dell’Io, pigrizia e altri ostacoli creano difficoltà e impedimenti a questo sviluppo.
Spesso la strada va persa per essere ritrovata, seguendo quella pulsione ad attuare noi stessi, attraverso la presa di coscienza di un fondamento interiore. Le Briciole che ci compongono.
L’unica possibile promessa è divenire ciò che il mondo interno ci propone.
Il lavoro analitico necessita di pazienza, di tempi lunghi, di parole come di silenzi, di buia e lenta lievitazione, come il chicco di grano che diventerà farina e poi pane, dopo molte trasformazioni.
E dal pane, finalmente le Briciole.
Le Briciole, come ciottoli brillanti di luce lunare nell’oscurità della notte, indicano il nuovo possibile e più consapevole percorso.


 
pagine 168 | prezzo 16,00€ | cm 11,5x16,5

Lacrimae rerum è un’espressione di Virgilio che allude al pianto per ogni cosa transeunte, giacché tutto quanto attiene alla mortalità ferisce l’animo umano. Ed è giusto la consapevolezza della nostra finitudine, dell’esser noi sempre esposti alla perdita – specie quella definitiva della vita biologica – a costituire per molti un motivo di forte disagio esistenziale o smarrimento.
Tuttavia gli antichi filosofi greci consideravano somma arte del vivere giusto quella del saper morire; una sapienza cruciale che trova il suo fondamento nell’accoglienza delle cose più drammatiche e dolorose: non per esorcizzarle a buon mercato, ma per saperle accettare e superare.
I Vangeli ci dicono che l’essere umano deve rinascere spiritualmente morendo a se stesso, nell’auspicio di poter divenire ex-sistente, cioè di situarsi – tramite un giusto distacco – fuori dal mondo pur rimanendo in esso.
Occorre dunque evadere dalla prigione egocentrica per aprirsi agli altri tramite un amore (agape) che non è possessività né altruismo ma forza espansiva/oblativa che si effonde senza limiti.